CORPO E MENTE

Sull’impatto psicologico che la pandemia causata dal COVID-19 ha sulla nostra popolazione è stato scritto molto, e molto si continua a scrivere.

Gli effetti emotivi della pandemia vanno dalla paura, all’angoscia, all’ansia fino alla negazione. Chi si trova in prima linea o direttamente colpito dal virus può inoltre manifestare sintomi da PTSD e/o Burnout.

Il PTSD o disturbo da stress post traumatico è un disturbo che si manifesta in seguito all’esposizione diretta (la morte reale o una minaccia di morte, grave lesione, violenza) o indiretta (venendo a conoscenza di un evento traumatico violento o accidentale accaduto ad un membro della famiglia o ad un amico stretto) a situazioni fortemente traumatiche o  in seguito ad esposizioni ripetute e continue ad episodi di violenza e degrado.

Tra i sintomi  del Disturbo da Stress Post Traumatico compaiono disturbi del sonno, evitamento, ipervigilanza.

Il burnout è invece una sindrome che colpisce molto spesso coloro che lavorano nelle relazioni d’aiuto (ma non solo) ed è caratterizzata da uno stress acuto che determina logorio psicofisico ed emotivo, disinteresse, demotivazione.

Di tutti questi casi si sta occupando la psicologia dell’emergenza, con interventi ad hoc atti a contenere gli effetti devastanti che medici e non, direttamente o indirettamente colpiti dal virus, stanno vivendo.

Scorrendo vari articoli, chiacchierando con i colleghi e confrontandomi con diversi caregivers mi sono resa conto che poco però è stato detto e fatto per tutti coloro che non solo vivono le stesse condizioni emotive, ovunque descritte, causate della pandemia e della quarantena, ma lo fanno fuori dalla loro Italia. Bloccati in un Paese straniero all’interno del quale, forse, si sentono ancora più isolati.

L’ultima stima della Fondazione Migrantes del gennaio 2019 ci dice che circa l’8,8 % della popolazione itaiana risulta residente all’Estero. Circa 47.000 potrebbero essere i ragazzi all’estero in Erasmus.

L’IMPATTO EMOTIVO DELLA PANDEMIA SUI RAGAZZI FUORI DALL’ITALIA

Quando qualcosa provoca in noi forte paura, la reazione primaria può essere la fuga dall’evento verso un luogo sicuro; lo sappiamo bene noi in Italia che abbiamo assistito all’esodo verso il sud di tanti giovani studenti tornati dalle loro famiglie per trascorrere la propria quarantena vicino ai propri cari.

Tornare a casa, dalla propria famiglia, può far sentire più protetti, maggiormente al sicuro e forse maggiormente “in controllo” della situazione.

La casa, la famiglia, i genitori sono elementi affettivi importanti. Àncore che ci fanno sentire più stabili. Porti nei quali sentirsi “al sicuro”.

Ed è proprio il tema della sicurezza quello a mio avviso centrale in questo momento. Lo è in quanto è la sicurezza ciò che questa pandemia sta mettendo alla prova.  La nostra sicurezza in termini di salute, la nostra sicurezza economica, la nostra sicurezza nelle relazioni e nella relazionalità così come siamo abituati a definirla e viverla.

Le certezze tremano. E per quanto, come sappiamo, le crisi sono anche opportunità non possiamo non tener conto del fatto che in questo momento ci troviamo nella crisi con tutti i risvolti emotivi che ne conseguono.

Queste considerazioni sono ancora più vere per coloro che non solo sono costretti in isolamento ma lo sono in un Paese straniero. Paura, sensazione di non poter far nulla, paura per i propri cari, senso di impotenza e frustrazione. Sono queste le emozioni che molti nostri giovani connazionali riferiscono.

Inoltre, chi vive lontano dall’Italia, può provare un forte senso di abbandono caratterizzato da ansia, paura e/o rabbia. La perdita di riferimenti ha un’eco ancora maggiore, una pesantezza diversa. A queste reazioni possiamo aggiungere l’angoscia di non essere curati o di non essere adeguatamente curati. La paura di poter perdere il lavoro e di ritrovarsi in difficoltà in un Paese che non è il proprio. L’angoscia di non poter rientrare a casa.

E a casa anche le famiglie sperimentano ansia e sentimenti di impotenza. Condividono con i loro cari, lontani, la preoccupazione per una distanza che sembra non avere fine.

In entrambi i casi, per i ragazzi lontani e per le loro famiglie, trova spazio il senso di colpa. E può innescarsi un circolo vizioso in grado di fomentare un’ansia già insita nell’evento che ha investito le vite di tutti noi.

IMPORTANZA DI UN SOSTEGNO PSICOLOGICO

È evidente l’importanza e l’urgenza che assume un intervento di sostegno psicologico anche per chi non si trova in patria. Accedere a questo tipo di servizio permette di ripristinare un adeguato senso di sicurezza, di ridurre il senso di solitudine e di “mettere ordine” fra le emozioni dando voce ad ognuna di esse ma allo stesso tempo cercando un nuovo significato e una nuova dimensione in cui inscriverle.

Poter usufruire di un supporto psicologico quindi può consentire di:

  • “normalizzare” anche le emozioni meno positive come la paura, che invece svolge un ruolo protettivo importantissimo.
  • Stabilire un controllo attivo dei nostri comportamenti in modo da potersi focalizzare su quelli maggiormente protettivi. Far questo può far sentire le persone maggiormente capaci di un controllo positivo e costruttivo.
  • Ridurre lo stress e quindi rendere più forte anche il sistema immunitario.
  • Creare una relazione che funga da “porto-sicuro” e che offra stabilità e accoglienza.

Molti numeri, alcuni anche gratuiti, sono attivi e disponibili anche per chi si trova all’estero. Inoltre è sempre possibile rivolgersi ad un professionista di fiducia, anche in Italia, e avviare un percorso di supporto psicologico tramite skype o altra piattaforma.

Di seguito alcuni numeri messi a disposizione dal Ministero della Salute

Numeri Sostegno Psicologico

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Post comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.